Di MARCELLO LIPPI (breve sintesi della recensione)
L’idea di una riproposizione del “Convitato di pietra” di Pacini, opera assai poco conosciuta al grande pubblico, è un atto di omaggio proprio alla città di Viareggio, nella quale il compositore la scrisse e la rappresentò, come momento di “musica in famiglia”, nella casa del cognato Antonio Belluomini, affidandone l’esecuzione ai parenti: padre (che era stato un cantante professionista), fratello, sorella, moglie ed un paio di amici. Particolarmente intrigante poi la scelta di villa Paolina come location dell’evento: è cosa nota infatti che Pacini sia stato l’amante proprio di Paolina Bonaparte.
C’erano quindi tutti i presupposti per un’operazione culturale di grande interesse storico ed artistico. La Fondazione poi ha affidato la mise en scène ad uno dei registi più colti e preparati: Giandomenico Vaccari, tornato alla sua prima passione dopo anni passati alla guida di grandi Fondazioni italiane. La mano del regista si è avvertita da subito nel richiamo al senso di oscurità, alla cecità, alla caduta nel buio che egli ha collegato all’atto di violenza ed al sesso coatto imposto da don Giovanni. Egli benda infatti sia donna Anna che Zerlina, il che è anche molto funzionale come mezzo per risolvere l’antico problema di rappresentare sulla scena in modo credibile una donna che faccia l’amore con uno sconosciuto credendo fosse il fidanzato. Don Giovanni acceca, priva della libertà della vista, allontana dalla realtà e fa perdere la strada. Interessante apertura al mito. Il maestro Daniele Ferrari, revisore dell’opera insieme a Jeremy Commons, la conosce perfettamente e la esplora nelle sue dinamiche e nella varietà ritmica.
Ottimo l’Ottavio di Francesco Napoleoni; sia vocalmente che scenicamente si è calato con efficacia nei panni del duca senza tradire mai l’adesione vocale e drammatica al personaggio. Vocalità franca e ben proiettata nel duetto con Donna Anna.